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Due figli in un anno

Scritto da

Fioly Boca, autrice di Ovunque tu sarai, L'emozione in ogni passo, Un luogo a cui tornare, si racconta nel primo anno di vita del suo secondo genito. 

Ieri Eliandro mi ha dedicato il primo sorriso della sua vita.

O almeno credo. Diciamo che, come tutte le mamme, ho bisogno di crederlo. Anche perché Eliandro è il mio secondogenito di circa un mese e mezzo, mentre Lemuele, primogenito, ha soltanto tredici mesi di più.

E mi rendo conto adesso che tredici mesi di differenza sono proprio pochini, e comincio a capire perché la quasi totalità di amici e conoscenti ha commentato la notizia della mia seconda gravidanza con lo stesso commento, più o meno laconico, più o meno enfatico: “Complimenti, che coraggiosi che siete”. Ci sono state alcune divagazioni sul tema, alcune minime variazioni di sinonimi, ma il succo era decisamente lo stesso.

Una parentesi va aperta e richiusa per immortalare la reazione di mio padre, per poco non gli è andato il boccone di traverso quando gliel’ho detto durante un pranzo, e gli è scappato un piemontesissimo “ma ti t’è fola” [traduzione: ma tu sei… “sprovveduta”]. Che poi adesso è il nonno più nonno della categoria, sia chiaro.

Comunque ecco, fino a qualche mese fa, intuivo solo grossolanamente il significato reale di quei commenti, mi sembravano perfino un po’ esagerati, tutto sommato quanto poteva essere diverso annullarsi per un figlio o annullarsi per due!? Così ho preso per buone le osservazioni più ottimistiche, del tipo “Fai la fatica tutta in una volta sola” (anche se una vocina dissidente dentro me commentava “Sì, una sola fatica che dura 15 anni”). Anche perché questo secondo bimbo era proprio atteso in tempi record, noi siamo una coppia così, che nel tunnel di pannolini e poppate notturne ci sguazza.

Quindi, ancorata al mio proverbiale ottimismo, ho affrontato i primi mesi di gravidanza, un pochino meno ginnica della prima ma sempre molto fortunata. Durante le ultime settimane, la mia superbia da wonder woman (la stessa che mi aveva fatta illudere che il primo parto sarebbe stato impegnativo quanto una corsa in bicicletta) ha cominciato a vacillare. La mia orgogliosa presunzione sfumava in modo inversamente proporzionale alla pancia che cresceva a dismisura, e mi rendeva disagevole qualsiasi tentativo di accompagnare Lemuele nei suoi primi spericolati passi, o finanche di tenermi in piedi io stessa in maniera più aggraziata di un tricheco spiaggiato.

Ma cercavo di vedere il dritto della medaglia e mi raccontavo -a quel punto mentivo sapendo di mentire- che con così poca differenza di età, il primo non avrebbe per nulla sofferto di gelosia, troppo piccolo per capire. Ma la realtà, cinica e bara come il destino, ancora una volta mi si è rivoltata contro come un panzer fuori controllo: il giorno del parto, Lemuele entra traballante nella mia stanza di ospedale. Gli bastano pochi istanti per mettere a fuoco, con l’abilità di un cecchino, quell’esserino nuovo di zecca nella culla a fianco della sua pallida e provata mamma. Dopo uno sguardo di sdegno e rimprovero che mi porterò nella tomba, il mio ometto si esibisce in uno show da rodato attore drammatico, lasciandomi l’impressione piuttosto nitida che il rientro a casa non sarebbe stato una passeggiata di salute.

E infatti. La prima notte di ritorno dall’ospedale Lemuele è rimasto per un considerevole numero di ore SEDUTO sul lettone a fissare con palese astio il nuovo arrivato, succhiando nervosamente il ciuccio. Io allattavo Eliandro, sentendomi osservata e colpevole come se mi avessero sorpresa a letto con l’amante.

Ci sono stati giorni in cui avrei davvero voluto migrare ai tropici. Giorni in cui il primogenito ha cercato ripetutamente di rivalersi con la violenza sul fratellino (così pacifico, bontà sua). Con schiaffi travestiti da carezze e tentativi non troppo celati di far sparire le piccole tutine nella spazzatura. E per la mamma, abbracci alternati a netti momenti di rifiuto, in perfetto stile odi et amo.

Chiaramente, pur di attirare la mia attenzione quando cercavo di allattare Eliandro, il fratello maggiore si cimentava nelle più spericolate e autolesioniste imprese; dal lancio senza paracadute dalla sponda del letto, alla corsa con inciampo verso tutti gli spigoli in casa.

Il culmine della mia desolazione l’ho raggiunto una sera che non voleva nemmeno farsi sfiorare da me, e quando ho cercato di metterlo a letto si è fatto venire le convulsioni a forza di urlare Papà, già prima in cima alla sua classifica di gradimento, ma ora vero e proprio eroe, capace di salvarlo dalla mamma crudele e traditrice.

Però poi. Grazie anche ai provvidenziali aiuti -nonni e zii santi subito!- sono passati i giorni e Lemuele si è rasserenato quasi del tutto, ha ripreso i suoi normali ritmi di sonno e alimentazione ed è tornato il bimbo allegro e solare di sempre. Tenta ancora qualche volta di ferire l’intruso, ma gli regala anche baci e sorrisi. Lo chiama “Dado”, con la sua vocetta dolce, lo imita quando frigna (bè, un po’ di presa per i fondelli non se la risparmia). Se lo sente piangere corre a muovere la culla per farlo addormentare. E mi abbraccia di nuovo come prima. Così penso che deve aver perdonato il tradimento della sua mamma, e che col tempo capirà che alle volte un tradimento ha in sé un grande atto d’amore.

Per questo credo che quello di Eliandro fosse proprio un sorriso, perché in fondo me lo merito, e quando tra qualche anno li vedrò felici e complici insieme, saprò che abbiamo fatto la cosa giusta. Di certo, anche ora rifarei tutto esattamente così.

(però, per favore, non chiedetemi se son pronta per il terzo!)

 

Di Fioly Bocca leggi anche l'articolo: Essere donna, essere mamma.

di Fioly Bocca
mamma di due maschietti, autrice, redattrice (e rock star mancata), vive con la sua famiglia alla Casa nella prateria e sogna viaggi intorno al mondo.

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Fioly Boca

Fioly Bocca vive sulle colline del Monferrato con il compagno e i due figli. È laureata in Lettere all’Università degli Studi di Torino e si è specializzata con un corso in redazione editoriale. "Ovunque tu sarai", il suo romanzo d’esordio, è stato un grande successo del passaparola, tradotto in cinque Paesi. Nel 2016 è uscito, sempre per Giunti, "L’emozione in ogni passo".

 

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